Cuore o cervello?
Rousseau scriveva che il rigore eccessivo delle regole armoniche
aveva allontanato gli esseri umani dalla vera musica originaria.
D’altro canto, sappiamo come i più grandi geni della musica facevano leva sulle emozioni
proprio grazie ad alcuni principi armonici fondamentali.
Ma allora, quando si studia, bisogna cercare di avere una totale padronanza delle note
e delle progressioni armoniche o bisogna lasciarsi guidare dall’emozione?
La risposta sta un po’ nel mezzo. In realtà l’armonia classica, per quanto rigorosa,
è il risultato della constatazione e della codifica della risposta emotiva umana agli stimoli sonori.
Per esempio, se siamo nel contesto tonale di do maggiore, ogni “si” ci sembrerà condurre verso il do,
creando un senso di aspettativa, e così via. Insomma, l’armonia è regola ma è anche emozione.
In linea teorica, quindi, lo studio di un brano conseguente ad una rigorosa analisi dovrebbe coincidere,
nei risultati, con lo studio di un brano in cui ci si lascia trasportare dal pathos.
La realtà dei fatti, però, non è così semplice: vuoi per semplici sviste,
vuoi perché non siamo dei geni musicali,
spesso le indicazioni “nascoste” che l’armonia vuole suggerire non vengono colte dalla nostra sensibilità.
Per questo, il lavoro di ricerca di un musicista non può fermarsi all’istinto:
è essenziale anche una lettura approfondita del brano,
per poter riconoscere il ventaglio di possibilità interpretative che la composizione propone
e prendere (o confermare) una decisione in modo consapevole e ragionato.